GIUSEPPE GARIBALDI E IL PACIFISMO ITALIANO Gian Biagio Furiozzi*

Può apparire singolare che il pacifismo italiano possa iniziare con un personaggio come Giuseppe Garibaldi: dapprima guerrigliero in Sud America poi, nominato generale, protagonista di tante battaglie, in Italia e in Francia. Eppure, è proprio da lui che occorre partire. Non è un caso – del resto – che i delegati del famoso Congresso internazionale della pace, tenutosi a Ginevra nel 1867, lo designassero quale presidente onorario del Congresso stesso. In tale qualità egli tenne un discorso assai applaudito contenente nove risoluzioni, le prime due delle quali sono le seguenti: “Tutte le nazioni sono sorelle”, e “La guerra tra loro è impossibile”. E l’ultima di esse, premesso che “la democrazia sola può rimediare al flagello della guerra”, affermava che “il solo caso in cui la guerra è permessa” è quello “dello schiavo contro il tiranno”

Va detto tuttavia che questa impostazione non era un’improvvisazione del momento, magari enunciata per ricevere facili applausi, che in effetti vi furono. Ma essa aveva le sue radici in anni lontani, a partire da quel viaggio verso Costantinopoli del 1833 durante il quale egli venne a conoscenza delle idee di fratellanza e umanità contenute nello scritto di Saint-Simon Il nuovo cristianesimo.

Nei decenni successivi, in molte occasioni Garibaldi ribadì che solo i popoli oppressi hanno il diritto di combattere contro gli oppressori, e che egli stesso era stato costretto ad imbracciare le armi solo perché aveva trovato sulla sua strada due avversari: gli austriaci e i preti. Va inoltre fatto presente che le sue affermazioni pacifiste  non erano affermazioni generiche o pure declamazioni di principio, ma erano corredate da una serie di proposte concrete,  come quella di rendere obbligatori gli arbitrati per risolvere i conflitti internazionali; quella della creazione di un Tribunale massonico internazionale con sede a Nizza; proposte  ripetute di disarmo concordato e graduale tra le potenze (ma non unilaterale); quella della creazione di una lingua universale, e perfino di una religione universale, basata su principi essenziali e condivisibili da tutti i popoli, come la credenza in un unico Dio, la considerazione degli uomini come fratelli e il perseguimento del bene comune.

Al Congresso di Ginevra presero parte anche i rappresentanti di alcune Logge massoniche italiane, e del resto in quel periodo lo stesso Garibaldi era Gran maestro onorario del Grande Oriente d’Italia, mentre al secondo Congresso della pace, tenutosi a Losanna nel 1871, non volle prendere parte Giuseppe Mazzini, che disse di ritenere inevitabile “una grande battaglia europea” che conducesse ad una nuova sistemazione della Carta d’Europa basata sul principio di nazionalità. Ma furono le idee di Garibaldi a fare breccia nella sinistra italiana degli ultimi decenni dell’Ottocento. Ad esempio, in alcuni redattori del periodico La Plebe, pubblicato dal 1868 al 1883, o in Andrea Costa, strenuo oppositore delle imprese coloniali, alle quali – disse nel 1887 – non andava dato “né un uomo, né un soldo”.

Ma soprattutto in Ernesto Teodoro Moneta, giornalista e patriota, che nel 1859-60 aveva preso parte alle imprese garibaldine. Nel 1866 partecipò alla Terza guerra d’indipendenza. Dall’anno successivo fu direttore del Secolo di Milano, il più autorevole giornale radicale italiano. Nel 1887 fu tra i promotori dell’Unione Lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, che pubblicava un almanacco annuale dal titolo “L’Amico della Pace”. Nel 1895 Moneta venne nominato rappresentante italiano nella Commissione del Bureau Internazionale per la Pace di Ginevra. Nel 1897 fondò e diresse la rivista “La Vita Internazionale”. Nel 1906 fece costruire un Padiglione alla Esposizione internazionale di Milano, durante la quale presiedette il 15° Congresso internazionale sulla pace. Nel 1907 fu insignito del premio Nobel per la pace.

All’associazione pacifista fondata da Moneta, nel giro di pochi anni si aggiunsero una serie di associazioni simili in ogni parte d’Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Tra esse, una delle più attive fu senza dubbio il Comitato per la pace di Torre Pellice, promosso nel maggio 1896 da Edoardo Giretti, con il contributo determinante di molti membri della locale Chiesa valdese. Giretti fu oppositore delle guerre d’Africa, fu contrario all’intervento militare italiano in Cina all’inizio del Novecento e critico durissimo delle eccessive spese militari. Suo amico e stretto collaboratore fu Guglielmo Ferrero, autore di un fortunato saggio sul militarismo, e che Giretti definì “uno dei più dotti, convinti ed efficaci propagandisti della causa della pace”.

*Docente di storia contemporanea all’Università di Perugia